Diario di Bordo

19 Feb Nessun commento Stefano Vicini La nostra Sifnos

3 giugno 2013 Paros (Naussa)-  Sifnos. 26 miglia
Oggi è una bella giornata con scarso vento. Non proprio l’ideale per andare a vela, ma
certamente meno faticoso che affrontare le raffiche dei giorni scorsi. Pensiamo di andare a Sifnos che dista 26 miglia da noi, asud-ovest. Poi, vento permettendo, risaliremmo fino a Mikonos ad incontrare vecchi e nuovi compagni di barca.Dunque, ce ne partiamo, Marzia ed io, in tarda mattinata, a motore. Costeggiando la costa occidentale di Paros lasciamo sulla nostra sinistra l’isolotto davanti a Parika teatro di un mortale naufragio avvenuto tredici anni fa. Un traghetto di linea, proveniente dal Pireo, vi si schiantò contro per disattenzione dell’equipaggio. Ci furono diversi morti ed il fatto fece scalpore perché causa della disattenzione fu la trasmissione in tv di un’importante partita di calcio. Dell’isola di Sifnos non sappiamo nulla, tranne il fatto che non è una meta del grande turismo. Per questo ci è simpatica. Decidiamo a caso dove atterrare. Scegliamo sulla carta il villaggio di Pharos perché protetto da una profonda insenatura aperta a ovest, quindi riparato dal meltemi.
Nel pomeriggio avanzato caliamo l’ancora davanti al villaggio. Abbiamo fatto una buona scelta. Il paese è costituito da una ventina di case, un paio di taverne, un caffè ed una bella spiaggia solitaria.
Alla ruota cisono altre due barche.
A cena ci contiamo, noi turisti schivi di presenze turistiche; siamo in otto riuniti nell’unica trattoria “panoramica”, ma infestata da migliaia di piccoli coleotteri volanti che si agitano attorno ai lumi e, agitandosi, finiscono nei nostri piatti. Con un sentimento di compassione verso i trattori che si vedono defraudati dei loro unici incassi, abbandoniamo il luogo per recarci più in là nell’altra taverna che sembra immune dall’infestazione.

Ci dicono che domani sera ci sarà la festa della santa patrona di Sifnos con l’arrivo, via mare, ad un piccolo convento posto sul promontorio che  hiude la baia a sud-ovest, di una sacra icona della Madonna. Una festività importante a ricordo del miracolo del salvataggio dell’isola da una infestazione di cavallette. Insomma, dobbiamo pensare che quest’isola abbia sempre avuto seri problemi entomologici.

4 giugno. Sifnos.
Oggi siamo andati alla scoperta dell’isola. Con un autobus pubblico abbiamo percorso una quarantina di chilometri di curve toccando tutti i centri abitati di Sifnos. Il più importante è Apollonia, un grosso, bianco, paese che non abbiamo però trovato affatto attraente. Interessante è invece il panorama di quest’isola caratterizzata da infiniti
terrazzamenti, ma oggi scarsamente coltivati. Si vedono sulle aie gli spiazzi circolari su cui trebbiare il grano con l’antico sistema del calpestìo degli animali da soma. Abbiamo già avuto occasione di vedere altrove questa usanza contadina ancora in essere, così come l’avrebbe descritta Virgilio nelle Georgiche. I veneziani vi introdussero, e non solo a Sifnos, le colombaie, costruzioni di 6-8 metri di altezza fornite di numerose aperture triangolari per ospitare nidi di piccioni. Ce ne sono tantissime, alcune delle quali acquisite poi ad originali usi abitativi. Facciamo anche alcuni modesti acquisti di terrecotte, prodotto tipico di quest’isola datempi antichisssimi.

Torniamo nel primo pomeriggio a Pharos per prepararci alla festa della santapatrona. Vi è già fermento. Gruppi di fedeli si incamminano lungo la costa su per un sentiero che in tre-quattro chilometri li condurrà al monastero. Noi andiamo via mare con il nostro tender ed approdiamo alla scogliera ai piedi della chiesa. C’è anche un piccolo molo su cui attendono le autorità religiose e civili. Quattro pope barbuti,in piedi sugli scalini che conducono al molo, in fila secondo importanza di carica. Sono addobbati dei paramenti d’uso. Il sindaco, con la famiglia, alcuni ufficiali di marina ed un paio di gendarmi li precedono nella disposizione del cerimoniale, ma sono posti più in
basso. Nel tratto di mare antistante incrociano barche e barchette. L’attesa dura una mezz’ora fin quando, da dietro il promontorio su cui è eretta la chiesa, irrompe un grosso traghetto a sirene spiegate. E’ subito chiaro che il traghetto è troppo grande per accostare, ed infatti un barcone, di quelli usati per le giteturistiche, si avvicina alla poppa dove è stato abbassato il pontone e dove lo aspetta il comitato d’accompagnamento della sacra icona. A
causa del vento al traverso la manovra è ripetuta diverse volte mentre dalle barche e dal traghetto vengono accesi razzi, botti e fumi colorati a sottolineare la festosità dell’evento. Infine, l’icona è imbarcata e trasportata al molo, accolta dalla banda musicale. C’è molta gente venuta anche dalle isole vicine ed è difficile raggiungere il piccolo piazzale della chiesa dove, intanto, i quattro pope intonano litanie intorno all’icona. Il salmodiare è, alle nostre orecchie, sgraziato, molto lontano dall’armoniosità del canto gregoriano e dura ore ed ore. Saziata la curiosità dello
spirito vediamo su una spiaggia, poco lontano alcune taverne che sono certamente in grado di saziare anche il corpo. Stringiamo amicizia con Heidi e Heinz, due turisti tedeschi, con i quali avevamo già scambiato dei cortesi saluti ieri sera ed insieme mangiamo al medesimo tavolo confrontando le reciproche impressioni sul luogo e
sulle genti.
Rientriamo a remi, avendo finito la miscela del fuoribordo. Ma è un bel remare, nel mare calmo, sotto la volta del cielo, mentre le voci salmodianti dei pope si allontanano nel buio della notte.
Gattadapelare ci aspetta per un tranquillo riposo.
Maurizio

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